Un Pessoa Luna Park un pop povero! Rigenerare utopie situate tra arte e nuove tecnologie
Intervista di Giorgia Arillotta ad Azzura Galeota del Colletivo Pessoa
Il Pessoa Luna Park è un progetto culturale ideato dal collettivo Pessoa (co-fondato da Grazia Scognamiglio, Azzurra Galeota, Martina Apicella, Valeria Lo Schiavo, Roberto Di Capua, Valentina Galeota, Adriana Cerasuolo) che rende omaggio al famoso poeta portoghese.
Il collettivo opera per risignificare i luoghi in maniera collaborativa tramite l’uso di dispositivi di relazione, adottando linguaggi eterogenei, comprensibili e condivisibili al fine di ingaggiare le possibili comunità che abiteranno quei luoghi e spazi.
Di natura itinerante e temporanea, il Pessoa Luna Park ha attivato nel mese di dicembre una versione pop-up delle sue istallazioni per il Real Albergo dei poveri. In particolare, con la progettazione e realizzazione di un’opera site-specific chiamata AIDI che, tramite l’uso dell’intelligenza artificiale, ha reso protagonisti i visitatori per la costruzione di scenari futuri dell’Albergo dei Poveri.
Segue l’intervista ad Azzurra Galeota del Collettivo Pessoa, che ringrazio per la disponibilità.
Pessoa Luna Park è un progetto culturale itinerante temporaneo che utilizza il gioco per il risignificare i luoghi, tramite l’utilizzo di dispositivi relazionali, come funziona questo dispositivo multiforme?
“Pessoa Luna Park è un dispositivo multiforme, ci piace descriverlo così, che introduce una strategia abbastanza complessa per fare in tempi record quello che generalmente avviene in un tempo più lungo, abbiamo deciso di lavorare sui luoghi o sottoutilizzati o abbandonati a seconda del caso e di introdurre una strategia composita multiforme per provare a riattivarli, restando in ascolto delle comunità.
Abbiamo elaborato una strategia d’azione che parte da lontano, nel senso che per quanto l’intervento possa essere breve nel tempo ci muoviamo sempre con un po’ di anticipo per studiare il contesto, lo spazio in cui agiremo e per creare una rete diffusa di stakeholder tra enti, associazioni e organizzazione interessate a quello spazio. La nostra idea è di non limitarci a quello che facciamo noi ma anche facilitare interventi di gruppi non così strutturati per poter fare un’attività o un evento e inserirsi in un contesto.
Usiamo un linguaggio, dettato dall’occorrenza, abbastanza provocatorio e pop per farci capire da tutti così da renderci accessibili e compresi da tutti. Il gioco è determinante, lo stesso Pessoa Luna Park non fa riferimento ai classici Luna Park ma alla strategia di gioco che diventa un dispositivo di relazione semplice per parlare di cose complesse.
Le nostre opere gioco sono istallazioni che ci permettono di fare squadra con numerose artiste e artisti, come la nostra ultima collaborazione con l’artista Roxy in the box creatrice di Ricchioners e della Biliardina Trans, due delle attrazioni e installazioni artistiche presenti nel Pessoa Luna Park. Questi inneschi generano intrecci di persone, cose, città come se fosse un altro gioco a sua volta e ci permettono di comunicare in maniera semplice temi molto complessi così da renderli accessibili a più livelli.
Sull’Albergo dei Poveri di Napoli abbiamo condotto un lavoro più site-specific ancora più del solito, realizzando l’opera AIDI che intercetta una tendenza del momento ovvero l’intelligenza artificiale, tema di discussione molto attuale e che viene vista con sospetto. Noi siamo appassionate di tecnologia e riteniamo che non deve essere vista con sospetto ma bisogna capirne la lingua. Cerchiamo di fare in modo che le persone possano relazionarsi e fare amicizia con un nuovo strumento, disabilitando la paura, utilizzando elementi e linguaggi facilmente riconoscibili.
Nel caso del Real Albergo dei Poveri le nuove tecnologie sono state degli strumenti utili per attirare l’attenzione del nostro target principale che è quello dei giovani, per propensione affascinati dalla tecnologia, e per raccogliere dati utili per un esercizio di immaginazione civica. L’argomento centrale del nostro intervento era immaginare, in maniera collettiva, possibili trasformazioni dello spazio e capire i desideri della comunità che lo abiterà.”
L’uso di linguaggi eterogenei è caratterizzante del vostro collettivo, come il progetto di comunicazione incide e si relazione con le vostre attività?
“Uno degli elementi su cui lavoriamo di più è la comunicazione, il nostro collettivo è abbastanza eterogeneo e guarda caso una delle fondatrici, che sarei io, viene da una dimensione filosofica e poetica, il lavoro sul linguaggio per me è essenziale, sia nel campo della rigenerazione sia per lo studio che ho portato avanti per molti anni.
Lavoriamo profondamente su quello che vogliamo dire e su chi è il referente ultimo, noi non parliamo alle persone per dire qualcosa che loto già sanno ma preferiamo lavorare su ciò che è oscuro.
I giochi che usiamo a partire dalla forma sono riconoscibili e dove il primo approccio è facile e intuitivo come nel caso di “Indovina chi?” e “la Biliardina Trans” per poi approfondire il tema e iniziare a leggere e comprendere i diversi livelli.
Per noi l’esercizio principale è fare in modo che l’involucro riprenda un concetto di identità apparente, cerchi di identificare e creare una connessione con qualcosa che conosci, creando un senso di familiarità, per dire però qualcosa che tu assolutamente non conosci. Conoscere non deve fare paura, deve essere un intrattenimento.
I Luna park classici sono diventati dei luoghi ambigui, noi abbiamo ribaltato la dinamica recuperando l’origine del Luna park che creava dimensioni alternative quasi utopiche che ti permettevano di fare esperienze al limite della realtà. Successivamente i Luna Park sono diventati proprio ambigui perché trasformati in luoghi di svuotamento e non di riempimento, noi stiamo cercando di rimettere dentro molti contenuti attraverso anche un momento della giornata in cui le persone si dedicano al tempo libero, creando non esperienze che svuotano ma esperienze che riempiono.”
“Recentemente avete attivato una versione pop-up del Pessoa Luna Park presso il Real Albergo dei Poveri, come avete realizzato e ripensato il vostro progetto?
L’esercizio che abbiamo fatto negli anni ci ha aiutato a fare questo intervento perché è come se fosse l’anticamera di quello che potremmo ancora fare, è stato uno strumento introdotto in maniera più veloce del solito, pop-up che nel nostro caso non vuol dire mai effimero ma è sempre uno strumento esplorativo per capire innanzitutto se c’era bisogno di una cosa come noi, la prima cosa è proprio validare la nostra presenza nello spazio. Dato il poco tempo abbiamo ridimensionato l’intervento da un punto di vista strutturale nel senso proprio come tipo di installazione, facendo in modo che il luogo fosse il più interrogativo possibile.
Quando mettiamo su un concetto lo facciamo sempre in maniera piuttosto interrogativa con installazioni che chiedono e domandano, a parte dalla scritta mega galattica “cosa vedi?” che è la prima provocazione, vogliamo che gli spazi immaginati e creati temporaneamente facciano delle domande. L’intervento deve essere interrogativo. Un pop povero è un gioco di parole rispetto alla storia dell’edificio però povero anche per ricalibrare il punto di vista di chi ci osserva, mostrando la nostra modularità ed evidenziando come dalla nostra vastità si possa esportare ciò di cui si ha bisogno.
L’istallazione AIDI parte dall’idea di usare l’AI come strumento abilitante, una veggente che ti pone delle domande e che in poco tempo trasforma le risposte in delle visioni e futuri possibili, rendendoti partecipe di un’opera collettiva. L’idea trae spunto dal cartone giapponese Heidi, l’abbiamo fatta invecchiare e trasferire a Napoli per restituire scenari futuri di una delle più grandi utopie napoletane: il Real albergo dei poveri. L’istallazione funzionava che tramite delle cuffie il visitatore ascoltava delle domande e suggestioni che ti facevano immergere nell’atmosfera e la persona si sentiva parte di un processo di decisione, l’output erano delle immagini non solo molte belle ma anche comunicative in grando di restituire scenari futuri anche impossibili.”
Il Pessoa Luna Park anche in altri contesti ha suscitato sempre grande interesse non solo per il progetto ma anche per lo spazio in cui si realizzava: Come secondo voi è possibile attenzionare i luoghi, accendendoli generando attrazione?
“Secondo noi è importante che un luogo o attività sia di moda, spesso è sottovalutato come aspetto, si deve creare una commistione tra gente seria che lavora in maniera collettiva per generare un bene diffuso e contemporaneamente realizza uno spazio accattivante e che piaccia, in cui uno quando sosta si trova bene. Noi cerchiamo sempre di realizzare degli spazi in cui uno ha voglia di restare e di chiamare degli amici.
La cultura non deve necessariamente essere ingessata, noi cerchiamo di sdoganare questo falso mito che la cultura deve essere noiosa, deve farti sentire a disagio o piccolo. Quando vieni al Pessoa Luna Park ti senti al centro dell’attenzione e parallelamente guardi con interesse uno spazio ricco di potenzialità.”