di Alessia Cerruti
Oltre le mura scolastiche, una città educante
Questo racconto nasce in seguito alla lettura della pubblicazione Where learning happens. L’educazione come politica urbana, una raccolta di riflessioni sul tema educazione-città curata dalla società Avanzi-Sostenibilità per Azioni, in risposta alla sfida lanciata dal Nuovo Bauhaus Europeo.
Tra le tre ipotesi emerse attorno all’idea centrale dell’educazione come politica urbana, c’è la visione della città promotrice di azioni educative speciali. Secondo questa proposta, la pratica educativa non si esaurisce tra le mura scolastiche ma si apre all’ambiente urbano, riscoprendo le molteplici risorse del territorio e coinvolgendo gli attori che lo abitano. In questo modo si incoraggia lo sviluppo di una rete di persone, spazi e saperi che arricchiscono il tessuto sociale, economico ed educativo delle città contemporanee.
Tali modelli innovativi trovano spazio in luoghi aperti, capaci di intercettare soggetti diversi per età, provenienza, professione o interessi e favorire lo sviluppo di relazioni personali.
Le comunità di apprendimento che nascono attorno a questi spazi adottano un approccio basato sullo scambio reciproco di conoscenze e competenze tecniche. L’intento è, infatti, quello di educare collaborando, così da promuovere un sapere eterogeneo e comune. Progettare esperienze – anche se temporanee – basate su pratiche di condivisione, consente di costruire comunità coese e quindi di sperimentare azioni di convivenza comunque significative.
In linea con questo pensiero, è l’esperienza virtuosa del LAC – laboratorio di antropologia del cibo – che riesce a cogliere le risorse della città e accogliere il ‘saper fare’ delle comunità urbane. Si trova nel cuore del Giambellino, un quartiere complesso e variegato a sud-ovest di Milano, a cui Giulia Ubaldi, antropologa e ideatrice del progetto, è fortemente legata. È il luogo dove è nata e vive, che apprezza per l’assenza di definizioni e il carattere ancora molto popolare, che conserva nel vissuto quotidiano e nei rapporti di vicinato. Lei stessa lo definisce “un quartiere che non ti scegli, ci capiti, e poi ti inizia ad appartenere e non te ne vuoi più andare.”
Ed è proprio il Giambellino, con le sue qualità e numerose culture, il punto di partenza che Giulia ha scelto per sviluppare il progetto. Dei trentacinque cuochi coinvolti molti abitano nella zona, con cui hanno stabilito un forte senso di appartenenza. Abitanti e attività locali hanno reagito in modo entusiasta all’iniziativa, promuovendola, raccontandola e contribuendo alla sua risonanza in tutta la città.
Il laboratorio, nato nel settembre 2021, è uno spazio multiculturale dove persone provenienti da tutto il mondo si incontrano per condividere la loro passione per la cucina, tra ricette autentiche e piatti del cuore. Un luogo per intrecciare storie e ricordi, trasmettere conoscenze e tradizioni, “perché qui si fa prima di tutto antropologia e cultura, ma rigorosamente in modo conviviale”, come altrettanto dichiarato dall’ideatrice del progetto.
A guidare i corsi vi sono docenti provenienti da venticinque paesi, dal passato vario e con competenze differenti: migranti di prima, seconda e terza generazione; rifugiati e richiedenti asilo; home chef, ristoratori professionisti; badanti, musicisti, casalinghe, artisti.
Ogni corso – studiato secondo un approccio antropologico che mira a recuperare una specificità all’interno delle generalizzazioni – è pensato per far emergere il punto di vista e la personalità del singolo cuoco che si fa portavoce della cucina del suo paese d’origine. Durante le due ore di lezione, i partecipanti, seduti attorno a un tavolo che invita subito alla convivialità, osservano il cuoco, ascoltano le sue parole, possono contribuire alla preparazione, assaggiano i diversi piatti, condividono curiosità ed esperienze.
Ciò che rende speciale il LAC sono i molteplici momenti di scambio, contaminazione e confronto: attorno alla tavolata non si impara soltanto a replicare una ricetta, ma si spazia dalla cultura, geografia, storia, antropologia, fino ai racconti di episodi personali. Il cibo diventa un’opportunità per parlare di altro, scoprire mondi lontani e aprire i propri orizzonti: uno strumento per conoscere.
L’esperienza ricca e intensa che il laboratorio restituisce ai partecipanti rappresenta il valore centrale del concetto di educazione diffusa: una proposta alternativa non più limitata all’ambiente scolastico ma aperta a tutti, che vede la società e la realtà come l’ambiente più adatto per l’apprendimento. Inoltre, questa modalità comporta il coinvolgimento attivo delle persone ed è pertanto capace di generare confronto, scambio e acquisizione di saperi e capacità diversi, molto vasti e complessi.
Proprio per questo il laboratorio rappresenta una vera e propria scuola che, partendo dalle persone che animano la città, esce dai confini tradizionali per promuovere un cambiamento nel quartiere.