L’urbanistica sociale in risposta all’infanzia: uno sguardo critico nella realtà barese

di Benedicta Rizzi

L’urbanistica sociale in risposta all’infanzia: uno sguardo critico nella realtà barese

Fanno le stesse cose degli adulti, si vestono come loro, guardano la tv, giocano con i videogiochi, navigano su internet, praticano gli stessi sport, parlano con un uguale numero di vocaboli, usano gli stessi gesti, hanno pochi giocattoli ma moltissimi gadget. 

Sono i bambini dei nostri giorni, i bambini adulti, figli di adulti bambini. Più imparano, più rapidamente crescono, meno responsabilità hanno coloro che se ne dovrebbero prendere cura. Divorati dall’ansia, i genitori preferiscono delegare alla scuola, ai vecchi e nuovi media, alle tecnologie, all’associazionismo, il compito di accudire, crescere e educare alla vita adulta. 

I bambini, principali attori e fruitori dei nostri spazi urbani, come vivono la dimensione dell’esperienza cittadina in virtù dei loro impulsi, uso dei sensi, valori affettivi e contatto profondo con il loro ambiente naturale?

Sono testimoni indiretti di uno spazio che non li include o partecipatori di una creazione trasformativa dei luoghi in cui sperimentano la quotidianità?

La pedagogista Maria Montessori, afferma che ”il bambino non è passivo. Egli subisce indubbiamente delle impressioni, ma è anche un attivo ricercatore nell’ambiente: è il bambino stesso che cerca queste impressioni.”

Nelle società di Ancien Régime sottolinea Simonetta Ulivieri, il lavoro svolto dal bambino all’interno di una economia-agro domestica rispondeva a una tradizionale divisione dei ruoli e non assumeva necessariamente il significato di violenza o sfruttamento dell’infanzia, in quanto svolgendo tali attività il bambino acquisiva capacità e destrezza, tali da farlo sentire utile e responsabile. 

A partire dagli anni ‘80 sono sempre più venuti alla ribalta i temi riguardanti i diritti dell’infanzia in collegamento alla denuncia di abusi, della trascuratezza e dell’universo del bambino. 

Non esiste quindi un’infanzia astratta e decontestualizzata: la sua immagine si lascia penetrare dai contesti in cui i bambini e le bambine abitano e dalle relazioni che li circondano, ed indagare il tema dell’abitare dell’infanzia porta quindi a misurarsi con questioni pedagogiche, che vanno dal rapporto dei bambini con lo spazio alla ricerca del senso dell’abitare nel mondo, dai processi di costruzione. 

In questo periodo in Italia, si verificano due elementi fondamentali che spiegano non solo la rilevanza che ha assunto la relazione bambino-città, bambino-spaziocostruito, ma anche una nuova attenzione della sociologia urbana per questa relazione. 

Tali elementi sono la profonda trasformazione della famiglia e il nuovo ruolo che a seguito dei mutamenti avvenuti in essa, ha assunto nella società odierna il bambino.

Bari è una città profondamente colpita da questi importanti cambiamenti sociali e urbanistici, ed è proprio in questa fase storica che si delinea quello che Martinotti chiama la “nascita del periurbano” in cui si definiscono nuove definizioni e possibilità di strutturazione dell’esistenza.

In questa condizione di profondo cambiamento per la città, si delineano i primi grandi insediamenti di edilizia popolare, e si struttura una vera e propria separazione tra le zone residenziali ed il resto del contesto urbano e la distanza sociale assume la forma della consapevolezza di appartenere ad un mondo diverso.

Ho redatto una interessante intervista al pedagogista e socio fondatore della cooperativa sociale “Progetto Città”, nata a Bari nel 1980, Andrea Mori, il quale delineando nello specifico la trasformazione in termini di urbanistica partecipata del territorio, ha fornito un ampio sguardo storico-sociale della situazione dell’annata 80-90 e odierna del Mezzogiorno Italiano. 

L’intervista inizia con una domanda che pone l’attenzione sul contesto iniziale della sua nascita. 

Qual è stato l’iniziale percorso intrapreso dalla Coop. Soc. Progetto Città, e quali difficoltà avete affrontato nella prima fase della vostra apertura?

Per cercare di spiegare le origini del nostro percorso e la difficoltà in cui, in parte anche oggi a distanza di molti anni ci troviamo a vivere in un’area urbana complessa come Bari, posso citarti un breve aneddoto: quando ci siamo costituiti, nel marzo del 1980, nel contesto territoriale in cui operavamo dominato da modelli valoriali di chi ha prodotto una città con quartieri problematici, che sembravano pezzi di puzzle presi da scatole diverse, e mostruosità quali la “saracinesca” di Punta Perotti (fortunatamente abbattuta) e ci presentavamo come “Progetto Città”, ci scambiavano quasi sempre per una cooperativa edilizia. Non c’era idea che ci si potesse riferire ad una concezione più astratta e progressiva di una cultura di città. Non è stato, quindi, semplice spiegare che avevamo l’ambizione/utopia di immaginare un nuovo progetto che non era solo urbanistico ma soprattutto basato sull’affermazione della pratica dei diritti di cittadinanza nell’obiettivo di dare protagonismo e attenzione a quelle fasce sociali che nella città meno avevano potere e voce, in primis disagiati mentali, bambini e ragazzi. 

(cc) Coop.Soc. Progetto Città

Un altro elemento sul quale ho posto un’attenzione particolare è stato quello relativo all’urbanistica sociale che si è sviluppata in quel preciso periodo storico.Un periodo storico denso di cambiamenti politici, storici, economici e sociali, che conferiva al bambino la possibilità di divenire protagonista del suo spazio.

A quali modelli pedagogici vi siete ispirati per la progettazione di percorsi educativi per l’infanzia. Qual è stata la vostra formazione?

Nella nostra azione pedagogica abbiamo la fortuna di avere avuto come indicatori nel nostro viaggio molte “stelle polari”, tutte contrassegnate dal segno dell’originalità, della creatività e della visionarietà. Cito, per brevità, solo i nomi di alcuni: dai “classici” Rodari, Lodi, Manzi (maestri, scrittori e divulgatori di cultura) a Munari, Malaguzzi, Bertolini, Dolci, Gardner, Korczak (un pediatra polacco che ha scritto cose terribili e profonde sul rapporto tra bambini e adulti). Una svolta particolare l’abbiamo avuta quando tra il 1987 e il 1989, abbiamo avuto la possibilità di incontrare sulla scorta di un sacro furore, le innovative esperienze pedagogiche nord-europee, in particolari tedesche. Esse ci hanno letteralmente aperto la mente verso l’elaborazione di nuovi modelli di intervento con bambini e ragazzi: itineranti, organizzati, polivalenti, con una grande sottolineatura verso l’obiettivo di promuovere cultura dell’infanzia e forme di autonomia e di competenza dei ragazzi. 

Le istituzioni locali come hanno risposto inizialmente alle vostre progettualità educative? 

Il rapporto tra la cooperativa e le istituzioni locali, se facciamo riferimento soprattutto all’Amministrazione Comunale di Bari è stato costellato da un percorso altalenante che ha incontrato soprattutto inizialmente incomprensioni e difficoltà reciproche. Nel 1990 accade un primo significativo evento per la Cooperativa: la richiesta al Comune e l’ottenimento previo pagamento di un affitto delle palazzine e delle aree esterne di Parco 2 Giugno. Un parco cittadino, inventato e disegnato dal punto di vista del verde nel 1983 in cui questi due manufatti che erano stati immaginati come sedi di servizi all’infanzia erano rimasti completamente abbandonati e quindi oggetto di un degrado progressivo a causa di vandalismi vari. Nel 1991 la Cooperativa trasforma questi spazi in Centro per la Cultura Ludica, un servizio organizzato e attrezzato con ludoteca, biblioteca, laboratori creativi dedicato all’infanzia e all’adolescenza totalmente autofinanziato grazie al pagamento di un biglietto da parte delle famiglie utenti. La nuova dimensione pubblica del bambino mise in luce l’esistenza di una fascia d’utenza, che non definisce solo in quanto gruppo socialmente presente a cui destinare segmenti di città o i suoi segmenti, ma in quanto un insieme di individui che ha diritto all’ascolto e alla parola, ha diritti di libertà, ha capacità propositive e operative, sia pure in forme e modalità più ridotte rispetto agli adulti. 

(cc) Coop.Soc. Progetto Città

Parlando dei primi anni duemila, e dell’avvento delle nuove tecnologie, come è cambiato l’accesso dei bambini e delle bambine agli spazi educativi, e le relative forme di partecipazione alla città?

Nonostante l’avvento delle nuove tecnologie e quindi una maggiore possibilità per le nuove generazioni di accedere alle informazioni in modo diretto, bambini e bambine sono ancora prevalentemente, se non esclusivamente, informati attraverso il filtro degli adulti. Ciò è comprensibile se pensiamo che la scelta di far partecipare bambini e ragazzi ad una determinata attività, in ambito scolastico o extrascolastico, dipende dai tempi dei genitori, della scuola, dall’apertura dei servizi educativi, ecc. Non è stato ancora ideata una modalità in cui i bambini possano attraverso la tecnologia digitale, acquisire e fornire informazioni sulla città. Un tentativo l’abbiamo fatto, come esempio di una possibile App, nel progetto “Educazione alla Cittadinanza” promosso dal Municipio 2 del Comune di Bari. L’idea di uno spazio virtuale in cui bambini/e potessero, in riferimento al loro quartiere, dire la loro e suggerire all’amministrazione comunale miglioramenti da apportare rispetto ai loro bisogni, generalmente centrati sull’avere maggiore spazio verde, pulizia, attività di gioco, sicurezza di movimento.

Com’è cambiato il ruolo della famiglia nell’accesso ai servizi educativi? E la partecipazione?

Le famiglie hanno oggi, rispetto agli anni 80-90, una più ampia offerta e un maggior numero di occasioni per accedere a servizi educativi rivolti a ogni tipo di fascia d’età di bambini e ragazzi, basti pensare al sistema dei servizi dei Centri Famiglia del Comune presenti in tutti i quartieri di Bari, anche e soprattutto periferici (S. Pio, S. Rita, solo per fare due esempi). Si sono moltiplicati anche gli spazi educativi per i bambini fino a 6 anni: accanto agli asili nido pubblici e privati sono stati avviati 2 Centri Ludici per bambini fino a 36 mesi. La famiglia ha quindi una maggiore possibilità di scegliere relativamente ai propri figli a quali strutture indirizzarsi in base a vari criteri: la vicinanza dalla propria abitazione, tempo a disposizione, costi, tipologia di attività e, a volte, anche in base alla qualità degli spazi e degli operatori/educatori/animatori che le gestiscono. Spesso a dominare la scelta delle famiglie sono aspetti concreti e funzionali che non sempre corrispondono ai desideri di bambini e ragazzi. La presenza o meno di un servizio o di uno spazio verde curato e attrezzato nel proprio quartiere e la possibilità di raggiungerlo con facilità sono parametri che più di altri determinano cosa e come bambini e ragazzi possano fare, quale tipo di esperienza possano esplicitare, quali competenze sviluppare e mettere in gioco, quale tipo di socializzazione vivere. 

Illustri nuove prospettive per il futuro negli spazi pubblici per i bambini e le bambine? Da dove ripartire e quali bisogni collocare nel territorio? 

Gli spazi pubblici in genere hanno un futuro per bambini e bambine se possono essere messi effettivamente a loro disposizione sia in relazione alla possibilità di realizzarli vicino ai loro luoghi di vita, sia alla pluralità dei loro possibili utilizzi, sia se possono essere curati, attrezzati e animati in modo adeguato. I bisogni dei bambini, credo, sono quelli di avere una città possibile, che possono vivere non solo in sicurezza (che è un sacrosanto bisogno, ma soprattutto degli adulti) ma come grande “playground” (come propone L. Bozzo in “Pollicino e il Grattacielo”). Nell’area urbana di Bari, nonostante i progressi che si sono avuti negli anni, c’è ancora una grande margine di azione per colmare il gap delle possibilità che devono essere a disposizione dell’infanzia e dell’adolescenza, in particolare in alcune aree periferiche della città che ne sono ancora prive e, dove sono, risultano scollegate tra loro o proposte in forme temporanee e discontinue. Hanno bisogno, come tutti noi, di una città bella, che sappia comunicare e farsi leggere nei suoi mille segni, una città amica, visibile, capace di farsi vedere e conoscere attraverso i suoi molteplici segni. Che sappia accogliere la diversità, che possa essere attraversata e percorsa nei suoi luoghi, spazi e strutture in maniera sicura, che favorisca la conoscenza e il rispetto per l’ambiente e ne attivi la responsabilità costante nei suoi confronti. L’auspicio è che la cosiddetta progettazione urbana partecipata possa disporre sempre più di e che si possa rafforzare la consapevolezza che il senso di appartenenza al proprio territorio, sia questo il quartiere o, se possibile, la circoscrizione è la base per costruire un vivere comune basato su partecipazione, cittadinanza attiva e inclusione sociale.

(cc) Coop.Soc. Progetto Città