Cosa rende così difficile trasformare le città, anche quando la direzione da prendere sembra ovvia – meno auto, più spazio pubblico, più sostenibilità?
A questa domanda ha provato a rispondere Federico Parolotto, urbanista e fondatore di Mic-Hub, durante la sua lezione al Master U-Rise. Il suo racconto ha intrecciato esperienze professionali, riferimenti teorici e casi concreti, mostrando quanto sia urgente (e complesso) ripensare la mobilità urbana.

La strada come costruzione politica
“Il modo in cui leggiamo lo spazio pubblico non è un dato di natura: è un costrutto sociale con un forte contenuto politico.”
Parolotto ricorda che la gerarchia che oggi assegna centralità all’automobilista non è neutrale, ma il frutto di scelte storiche e di potere. I codici della strada e i manuali tecnici hanno cristallizzato valori precisi: chi ha diritto a stare al centro e chi ai margini.
Manufatti che cristallizzano il passato
Molte infrastrutture realizzate negli anni ‘80 e ‘90 – svincoli, sopraelevate, maxi-rotonde – non sono solo segni fisici: sono “cristallizzazioni materiali di un sistema di valori”.
Finché restano in piedi, riproducono il modello auto-centrico che le ha generate. L’idea, radicale in Italia, è che vadano demolite: non basta adattarle, occorre riconoscere che ostacolano il futuro.
Il bias dei modelli
Le difficoltà del cambiamento non dipendono solo dalla politica, ma anche dagli strumenti.
“I modelli di simulazione – spiega Parolotto – tendono a riprodurre il presente e a cristallizzare i funzionamenti, rendendo difficili i cambiamenti sistemici.”
È un limite strutturale: ciò che per i tecnici è “oggettivo” porta in realtà con sé bias culturali e politici. Per questo la pianificazione deve imparare a usare i modelli come strumenti, non come gabbie.
Da predict & provide a design & provide
Il paradigma dominante della mobilità è stato per decenni quello del predict & provide: proiettare la domanda attuale nel futuro e adeguare le infrastrutture.
Oggi serve il contrario: immaginare la città che vogliamo e progettare per renderla possibile. “Design & provide” significa orientare la domanda, non subirla.
L’immaginazione come infrastruttura
“La vera infrastruttura della città del futuro è l’immaginazione.”
Non basta però evocarla: serve la capacità di tradurre visioni in linguaggi tecnici e normativi. Solo così un’idea può diventare progetto approvato e realizzato, senza fermarsi allo slogan.
Spazi abilitanti, non prescrittivi
L’urbanistica tradizionale ha ragionato in termini di previsioni: qui sorgeranno uffici, là abitazioni, lì passerà una strada.
I progetti più innovativi, da Barcellona a Parigi, fanno l’opposto: liberano spazio dalle auto e lo restituiscono alla città senza prescrivere cosa vi accadrà. Sono spazi abilitanti, che permettono alla vita urbana di rigenerarsi spontaneamente.
La lentezza come rivoluzione
Infine, un invito a rovesciare l’ossessione per l’accelerazione che ha caratterizzato la modernità: dall’alta velocità all’hyperloop.
“Il futuro non è comprimere i tempi – sostiene Parolotto – ma uscire dal paradigma dell’accelerazione.”
Rallentare significa restituire tempo e qualità alle persone e allo spazio urbano.
Oltre l’immaginazione
La lezione al Master U-Rise si è chiusa con un messaggio potente: il cambiamento non è impossibile, ma richiede di intrecciare visione, coraggio politico e competenza tecnica.
Non basta immaginare città migliori: bisogna anche saperle progettare, liberandosi dai vincoli concettuali che ci tengono ancorati al passato.