Diario di bordo – Torino: storie di ibridazione, rigenerazione e multiculturalità

di Beatrice Ricci, Giorgia Gamba

A distanza di due settimane dal modulo barese, la IX edizione del Master approda a Torino. In questa puntata del Diario di Bordo ripercorriamo la tre giorni itinerante che ha avuto luogo in una città dalla numerosa presenza di quartieri multiculturali caratterizzati dal protagonismo del terzo settore.

Il modulo, coordinato da Adriano Cancellieri (Università degli Studi Milano-Bicocca) e Giovanna Marconi (Università Iuav di Venezia), si è interrogato sulle sfide della rigenerazione urbana in contesti multiculturali attraverso l’esplorazione di alcuni spazi ibridi: la Casa del Quartiere di San Salvario, il Community hub beeozanam, lo spazio  La Baraca e i Bagni Pubblici di Via Agliè.

Le strade di Torino che abbiamo attraversato ci hanno restituito l’immagine di quartieri vissuti da persone dai più vari background migratori, non una minaccia dalla quale difendersi ma una ricchezza da valorizzare. Una delle sfide della rigenerazione urbana in tali contesti, infatti, è quella di porsi con un atteggiamento capace di decostruire i pregiudizi e sensibile alle diversità di chi quei luoghi li abita e li determina.

Casa del Quartiere di San Salvario – foto di Beatrice Ricci, Giorgia Gamba

In queste circostanze, abbiamo appreso che le politiche pubbliche possono approcciarsi alla diversità in vari modi: fornendo servizi al singolo percepito come diverso (approccio people-based), o al territorio abitato dalla diversità (area-based). Interessante secondo noi chiedersi “diverso da chi?”, una domanda che rivela quanto la città sia stata costruita, da sempre, tenendo come unico riferimento l’uomo, bianco, di mezza età, lavoratore, sano. Gli spazi ibridi torinesi si determinano, invece, come spazi accessibili a tutt*.

La prima realtà con cui ci siamo confrontat* è stata la Casa del Quartiere di San Salvario che Anna Rovinsky (coordinatrice delle attività e progettista) ha definito: “un luogo pubblico, aperto, accessibile, facile da frequentare e in grado di creare opportunità molteplici”. Il tema dell’accessibilità come elemento cardine delle Case di Quartiere è emerso chiaramente anche dalla testimonianza di Erika Mattarella, direttrice dei Bagni Pubblici di Via Agliè, uno spazio socio-culturale sviluppatosi a partire dalla riattivazione dello storico servizio di docce pubbliche nel quartiere Barriera di Milano. Erika racconta la sua opposizione al progetto di ristrutturazione basato su una separazione funzionalista degli ingressi: oggi l’unica porta d’accesso ai Bagni Pubblici permette a chi vi accede per un “servizio esca”, la doccia, di conoscere gli altri servizi e attività: dalla biblioteca ricca di silent books ai corsi di lingua.

Sin dal primo giorno abbiamo percepito la capacità degli enti del terzo settore di attivare, dal basso, sinergie virtuose. É il caso della Rete delle Case di Quartiere che viene alla luce nel 2014 col progetto “Di casa in casa”, grazie al bando CheFare. Cruciale è il legame tra spazi ibridi e territorio: all’interno del quartiere gli ETS affondano le radici presentandosi come spazi di comunità; nel contesto cittadino dialogano con istituzioni pubbliche e fondazioni bancarie per generare servizi di prossimità.

Visitando il Community hub beeozanam, all’incrocio tra i quartieri Madonna di Campagna e Borgo Vittoria, ci siamo accort* di quanto sia complesso questo processo di radicamento e dialogo con un quartiere. Nella sua peculiare configurazione architettonica, Beeozanam unisce attorno al suo cortile interno tante realtà diverse e molto variegate nelle loro funzioni (dal ristorante Le fonderie Ozanam al servizio di medicina legale dell’ASL). La peculiarità di questo spazio ibrido, anche a livello giuridico, può costituire anche il suo punto di debolezza. La varietà delle sue funzioni infatti lo rende ancora poco leggibile dall’esterno. Tuttavia, dati i servizi che offre e la strategica posizione a livello territoriale, Beeozanam sta puntando a costituirsi casa di quartiere. Questo gli darebbe maggiore stabilità economica, una maggiore struttura e quindi risonanza sul territorio.

Il cortile e gli orti del Community hub beeozanam – foto di Beatrice Ricci, Giorgia Gamba

Abbiamo conosciuto inoltre enti che non gestiscono uno spazio ma lavorano sui territori, come Fondazione Kallipolis che nelle sue progettualità ha la co-gestione (assieme ad altre associazioni) de “La Baraca”, uno spazio di proprietà della circoscrizione. Una delle problematiche che ci hanno presentato, e che abbiamo individuato come altro tema emerso da questa tre giorni, è il rapporto tra un’azione programmata, progettata per attivare la partecipazione e l’uso degli spazi pubblici di un quartiere, e l’informalità di utilizzo degli stessi insita nel loro essere spazi pubblici. “La Baraca” per il fatto che è in parte recintato, affidato e co-gestito da più associazioni, rischia di diventare uno spazio chiuso a cui si accede se si ha la chiave; aspetto quest’ultimo su cui Kallipolis sta lavorando in questo momento.

Il Community hub beeozanam – foto di Beatrice Ricci, Giorgia Gamba

L’ultimo insegnamento della tre giorni ci è arrivato dal regista Stefano di Polito, che, passeggiando per il quartiere Aurora, ha discusso  dell’improrogabilità  della presenza di mediatori e di mediatrici linguistici quando, da rigeneratrici e rigeneratori urbani, agiamo in contesti multiculturali. Quest* cittadin* strategici, spesso migranti di seconda generazione o figl* di migrazioni interne avvenute in un passato non così lontano, creano il ponte tra culture diverse e tra storie diverse, passate e presenti, che possono guidarci nella costruzione di un futuro che non ha paura dell’alterità.