Co-design for Peace.
di Francesco Romito
Design for Peace è il progetto del Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori (CNAPPC) e dell’Ordine degli Architetti PPC di Roma e provincia (OAR) – realizzato in collaborazione con il Ministero dello Sviluppo delle Comunità e dei Territori dell’Ucraina tramite l’Ambasciata d’Ucraina in Italia. Il progetto si focalizzerà su 5 aree: il Palazzo comunale della cultura “Korabelnyi” di Mykolaïv; il Complesso sportivo dell’Università tecnica nazionale “Istituto politecnico di Kharkiv”; il Laboratorio del Ginnasio comunale di Korosten intitolato a Volodymyr Synhaivskyi; l’Università Pedagogica Nazionale di Kharkiv intitolata a G. Skovoroda; l’edificio accademico della Facoltà di Economia dell’Università Nazionale di Kharkiv intitolata a V. N. Karazin. I diversi progetti saranno sviluppati da diversi studi italiani di architettura con il supporto di giovani architett* ucraini.
Mentre le agende della rigenerazione si animano di call e progetti per indagare, attorno e all’interno, il concetto di margine, Design for Peace può darci la possibilità di spostare la nostra attenzione dalla nozione di margine ai processi di “ri-marginazione”, in una prospettiva in grado di mettere in discussione – e dunque ridimensionare – i consueti strumenti della rigenerazione urbana. Ridefinirne i metodi significa mettere dinanzi alle sfide urbane nuove fratture, molto più profonde e sofferte, perché legate agli effetti di un conflitto. Contesti in cui qualunque rigeneratore potrebbe riscontrare enormi difficoltà nel ricucire i legami di comunità dilaniate e nel definire strategie di intervento che possano impiegare metodi e pratiche sperimentate in contesti di pace.
Una prospettiva questa che ci permette di osservare da un nuovo punto di vista i contesti del nostro agire lavorativo, politico e sociale poiché “il vedersi dal di fuori implica costruire un sistema epistemologico e proiettivo del di dentro, soprattutto quello del nostro habitat più complesso, la città” (A. Dessì).
Una dimensione, dunque, che può dare piena centralità alla ridefinizione dei nostri strumenti di intervento, che inizia a delinearsi a partire da due primi aspetti: il ruolo della co-progettazione e il concetto di prossimità. In merito al primo punto, se è vero che “la città è l’uso che se ne fa” (P.L. Crosta) è altresì necessario comprendere prima di tutto come cambiano i bisogni, le aspirazioni – e dunque gli usi – di una comunità che deve confrontarsi con le macerie di un conflitto. La letteratura in merito al concetto di co-progettazione lascia spazi d’interpretazione a nuove forme collaborative capaci di coinvolgere i diversi attori sociali all’interno di contesti di marginalità (M. Augè), ma permane allo stesso tempo un aspetto altamente critico legato al superamento di un trauma collettivo. Ogni conflitto, infatti, implica una sospensione delle dinamiche sociali proprie della quotidianità, le stesse dinamiche che rendono possibile le diverse forme di aggregazione e attivazione della cittadinanza. Il superamento di questo argine è possibile soltanto se le comunità colpite possono interfacciarsi direttamente con gruppi sociali e contesti lontani dal conflitto, capaci di trasmettere non semplici pratiche ma nuove prospettive di futuro. È per questo motivo che può essere utile attraverso percorsi di progettazione europea (si guardi per esempio ai transfer partner dei progetti del New European Bauhaus) e di progettazione nazionale (come nel caso di DfP), legare la dimensione locale degli interventi di ri-marginazione e rigenerazione a prospettive di intervento più ampie, scevre da ogni banale – se non pericolosa – pretesa filantropica di ricostruzione.
Questo primo aspetto legato alla co-progettazione è strettamente interconnesso al tema della prossimità. Una città che vede le proprie infrastrutture socio-culturali e reti sociali disperdersi può trarre nuove energie da contesti altri che supportino i processi di rigenerazione. Per questo motivo assume una nuova forma l’idea di prossimità: quella che durante una guerra è definibile come prossimità di sussistenza, legata esclusivamente ai bisogni primari, può riconfigurarsi in una prossimità solidale che, distaccata dalle distanze geografiche, può fornire strumenti e supporto progettuale anche a distanza e in pieno dialogo con la comunità locale.
È probabilmente nel solco di questa prospettiva che il bando Design for Peace si stia materialmente configurando come un esperimento di Co-Design for Peace.
Si tratta di due aspetti che stanno contraddistinguendo l’approccio di “Altereco – pratiche di prossimità”, unico studio pugliese che, grazie al bando Design for Peace, sta ospitando un’architetta ucraina Olena Hordynska per re-immaginare il Palazzo comunale della cultura “Korabelnyi” di Mykolaïv. L’intervento, come afferma il fondatore arch. Tonio Giordano, sarà “strutturato per poter attivare nuovi processi di animazione territoriale mentre procedono i lavori di ricostruzione, in una dimensione capace di rendere l’intervento declinabile all’interno di altri contesti urbani che hanno subito le conseguenze del conflitto da un punto di vista sociale, culturale e architettonico.”