Casa Barriera. Un progetto di coabitazione giovanile solidale a Torino

A cura di Agnese Caprioli e Gaia Volpe

Sul territorio torinese si contano sei coabitazioni solidali ubicate in diversi quartieri e gestite da organizzazioni del terzo settore. Casa Barriera invece è gestita dalla Cooperativa sociale LiberiTutti di cui Erika Mattarella è referente poiché coordinatrice della coabitazione.

È proprio grazie all’incontro con Erika che capiamo come sono nate le coabitazioni giovanili solidali a Torino e specificamente Casa Barriera. Ci spiega che la città svincola degli alloggi dell’Edilizia Residenziale Pubblica e li fa diventare servizio. Il progetto, in collaborazione con l’Agenzia Territoriale per la Casa (A.T.C.) e con il sostegno di Compagnia di San Paolo, ha l’obiettivo di creare piccole comunità di coabitazione in alloggi di Edilizia Residenziale Pubblica per favorire la creazione di un sistema che permetta di riattivare i valori della solidarietà e della cittadinanza attiva in contesti di marginalità sociale ed economica.

Il progetto di Casa Barriera

Casa Barriera nasce nel 2014 nel quartiere torinese Barriera di Milano e comprende due edifici tra via Ghedini e via Gallina. Tra questi si trovano due grandi cortili contigui ma non comunicanti, in cui si svolgono attività di comunità tra i coabitanti.
I coabitanti sono giovani di età compresa tra i 18 e i 30 anni che mettono a disposizione dieci ore di volontariato settimanali a beneficio dei cittadini residenti e a fronte di un affitto calmierato.
Erika ci racconta anche quali sono le modalità di ingresso dei coabitanti e in che modo i ragazzi ne vengono a conoscenza. Molto ormai fanno i social media, ma non si sono ancora persi il passaparola e la rete territoriale. Inizialmente, per accedere alla coabitazione, si passava al vaglio di un colloquio con il coordinatore e successivamente con i possibili futuri i coabitanti: se si fossero trovati bene condividendo gli stessi obiettivi di convivenza, avrebbero ricevuto l’approvazione del coordinatore.

Le chiediamo a questo punto se ci sono delle caratteristiche che accomunano i ragazzi che hanno vissuto o vivono attualmente in Casa Barriera. Ci racconta di alcune esperienze e ci spiega come, alle volte, sia necessario far prendere coscienza ai possibili candidati coabitanti di quanto l’esperienza di Casa Barriera si fondi sulla condivisione. Il rischio, ci dice, è che alcuni abbiano un’aspettativa naïf della coabitazione e poca consapevolezza del quartiere in cui si trova oltre che della condizione di marginalità e disuguaglianza che spesso vivono i suoi abitanti.

Il punto di vista di Erika non è solo quello di coordinatrice, ma anche di ex-abitante del quartiere e del complesso residenziale dove è oggi Casa Barriera. Ci racconta dei sette anni vissuti in via Gallina e del suo forte legame con i vicini di casa, molti di loro anziani, che le sono stati vicino in diversi momenti della sua vita e che anche dopo il suo trasferimento sono rimasti dei punti di riferimento per lei.
È soprattutto attraverso questo racconto che Erika ci fa comprendere il senso del progetto: la relazione che viene a instaurarsi tra i coabitanti e i condomini dovrebbe portare a sviluppare una comunità, sperimentando il buon vicinato e creando una rete fondata sulla condivisione e il mutuo-aiuto, che superi le dieci ore di volontariato settimanali.

L’incontro con i coabitanti

Nei giorni successivi siamo state ospiti nel cortile del complesso di via Gallina e abbiamo partecipato a uno degli appuntamenti periodici realizzati dai coabitanti con i loro vicini. Erika ci aveva raccontato della diversità della comunità di abitanti dei due complessi, una più attiva e chiacchierona e l’altra più schiva e silenziosa.

In realtà, quello che ci si presenta davanti è molto poco silenzioso, data la musica, le voci e il clima festoso creato dagli anziani, dai bambini e dai ragazzi della coabitazione. Sulle prime ci sentiamo un po’ spaesate, come se fossimo ospiti non previsti, ma poco dopo Beppe che ha circa ottant’anni e che danza ininterrottamente, ci coinvolge in un bel racconto sulla serata.
Dopo questa introduzione parliamo con Alessandra, Caterina e Giacomo G., tre dei sei attuali coabitanti di Casa Barriera insieme ad Emma, Giacomo D. e Simone. Mentre noi osserviamo quello che ci sta accadendo intorno, loro ci raccontano quali sono le attività che svolgono. Ci spiegano che vengono organizzate periodicamente durante le riunioni interne in base alle capacità di ciascuno e dei bisogni espressi dai vicini. Aggiungono che è proprio quando sono i vicini a chiedere di organizzare insieme delle attività che ci si accorge di quanto il progetto stia funzionando. Ad esempio chiacchiere con i vicini è un’attività ormai stabile, nata per coinvolgere i più restii a partecipare, e che permette di consolidare il legame tra coabitanti e i vicini, riuscendo a diventare occasione intima dove possono emergere richieste d’aiuto.
Una volta al mese, invece, si tiene una riunione con i coordinatori per capire come gestire le attività e confrontarsi su come stanno andando. Ogni due mesi si svolge un tavolo di coordinamento con referenti del Comune, A.T.C., assistenti sociali e coordinatori per mettere in luce eventuali casi problematici che i volontari hanno potuto osservare.

A questo punto chiediamo ai ragazzi di raccontarci di più della loro esperienza personale e di cosa hanno imparato da Casa Barriera fino ad ora.
Caterina risponde: “Per me Casa Barriera è una esperienza di volontariato totalmente immersiva in cui il coabitante si trova a essere molto più di un semplice volontario, ma diventa anche un buon vicino, un amico, un confidente. Il nostro ruolo va al di là dell’organizzazione di attività, ma porta a mettersi in gioco in prima persona andando oltre pregiudizi o rigidità. Credo che Casa Barriera consenta  di imparare in modo multidirezionale, sia verso te stesso attraverso la relazione con l’altro, che verso gli altri coabitanti con cui si condivide tanto, ma anche verso i vicini che molto spesso sono persone che normalmente non incontreresti o con cui non avresti rapporti personali”.

Ci racconta anche delle criticità del progetto. “Delle criticità -comunque gestibili – ci sono. Una è legata al qualche difficoltà nella comunicazione tempestiva con le istituzioni, un’altra potrebbe essere legata al fatto che il successo di un gruppo di coabitanti nel portare avanti attività e costruire relazioni nel vicinato dipenda molto dalle personalità degli abitanti stessi e dalla loro capacità di essere propositivi e presenti. Parlo al condizionale perché in realtà quest’ultimo aspetto credo che rappresenti più un vantaggio che uno svantaggio, perché in realtà permette una flessibilità del progetto nei confronti dei coabitanti che cambiano spesso. Una struttura più rigida potrebbe avere effetti negativi in termini di successo del progetto”.

Parlando di miglioramenti e possibili azioni per aumentare l’impatto del progetto, Giacomo G. aggiunge che manca una valutazione dell’impatto sociale, molto utile per comprendere la forza del progetto.

Riteniamo che il modello potrebbe essere replicato e che fornirebbe un utile strumento alle municipalità per la gestione delle case sfitte e dei contesti socialmente più complessi. È sicuramente necessario un sostegno istituzionale consistente  e continuativo. È oltretutto importante comprendere meglio il ruolo del coabitante come soggetto parte di una comunità e non come sostituto di un assistente sociale o di un referente condominiale. Il coabitante, oltre a svolgere una funzione di presidio sul territorio, può e mira a innescare a un circolo virtuoso di attenzione civica, attivazione sociale e condivisione. 

Sicuramente questa esperienza è un’occasione importante e determinante per il gruppo dei coabitanti e per gli abitanti dei complessi. È un’occasione per creare delle relazioni anche tra persone che, per esempio, per età o provenienza geografica, non avrebbero sviluppato alcun legame in altri contesti. Quello che si sperimenta è un sostegno reciproco continuo, dallo scambio dei vestiti, a quello dei piatti tipici del proprio paese. Il clima è quello che si è respirato qualche volta durante la prima quarantena, solo che a Casa Barriera i vicini sono una risorsa preziosa riconosciuta già da più tempo.