“Barcellona: lo spazio pubblico come leva di innovazione urbana”
di Deborah Canossini
Da chi e da cosa partire?
Come ci hanno spiegato Sílvia Casorrán Martos e Laia Grau Balagueró, rispettivamente Deputy Chief Architect Office e Urban Planning Manager (2019-2023) presso il Barcelona City Council, il percorso catalano pone al centro l’abitante: si interroga sulla vivibilità della propria città e a partire dalle attuali criticità costruisce un percorso di rigenerazione volto alla salute e al benessere delle persone, occupandosi in primis di residenze, mobilità e tempo libero.
La Barcellona del XXI secolo, infatti, segue l’andamento di tante altre realtà: è congestionata dal traffico, è inquinata, poco salubre, rumorosa, ha un alto tasso di incidenti stradali, presenta spazi verdi molto contenuti, soffre gli effetti dell’emergenza climatica e non da ultimo presenta un grave problema di diritto alla casa e di segregazione urbana.
Quale percorso intraprendere?
La risposta di Barcellona, in un mix congiunto di attivismo della cittadinanza e politiche dell’Amministrazione, è la presa di coscienza, da parte di una moltitudine di soggetti, che la città che conosciamo oggi non garantisce la vivibilità che ci si aspetta da un contesto così dinamico e progressista.
Razionalizzata nel XIX secolo per mezzo dell’esemplare Plan Cerdà, espansasi e trasformatasi al ritmo del XX secolo, Barcellona, alla luce di tali problematiche, fatica a rimanere all’interno dei propri schemi ed usi urbani. Al contrario, negli ultimi cinque / dieci anni ha avuto l’opportunità di “riorganizzarsi” proprio a partire dalle sue stesse forme.
Come innovare uno schema urbano consolidato?
Da qui la necessità di rivedere il modello di città: scommettere sullo spazio pubblico in modo diffuso e transcalare per scommettere sugli abitanti e sulle comunità.
Per questo motivo si è deciso di innovare la maglia regolare disegnata da Cerdà nel XIX secolo. Riconoscerne limiti e le potenzialità future ha dato origine alle “superillas”. Una nuova gerarchia di strade e sistemi di mobilità che ri-organizza l’eixample catalano in “superblocks”, blocchi “mixed use” sul cui perimetro rimangono i principali assi carrabili e al cui interno viene incentivata una mobilità lenta, più consapevole, più verde, lasciando una libertà di fruizione dello spazio pubblico quasi fluida, difficile da ritrovare in modo così diffuso in altre note realtà.
Con quali strumenti?
A rendere ancora più interessante questa operazione è la trasversalità di approcci con cui si è agito. Che si tratti di interventi strutturali o di interventi semplici e low cost, il nuovo assetto stradale acquisisce in entrambi i casi una rinnovata e vivida multifunzionalità. È sufficiente fermarsi qualche minuto nel quartiere di Sant Antoni per capire che un apparentemente banale tinteggio del suolo unito ad alcune sedute e ad alberature a volte possono fare la differenza. Vediamo bambini che corrono e giocano liberamente, chi siede e scambia due parole, chi mangia, chi attraversa la strada in bici, chi porta a spasso il cane, chi passa in monopattino. Le auto ci sono, sebbene su percorsi e a velocità estremamente limitati.
Non vediamo aiuole, parchi urbani e spazi verdi, come ad esempio nella Superilla di Cà l’Alier – ugualmente interessante e meritevole di una visita – ma semplici intuizioni progettuali sufficienti per generare nuove spazialità: luoghi di aggregazione e di condivisione dello spazio stradale utilizzati da chiunque abbia voglia di farlo.
Lo spazio pubblico come leva per una “nuova vivibilità urbana”.
L’esperienza di Barcellona, grazie anche alle voci di protagonisti e addetti ai lavori, ci fa capire quindi che l’innovazione non passa unicamente per puntuali politiche di amministrazione del territorio urbano. Al contrario è necessario un cambio di passo intenzionale e consapevole:
una nuova visione di città capace di tenere insieme scala territoriale e scala di quartiere.
Una nuova modalità di vivere lo spazio urbano che parta dalla restituzione capillare dello spazio pubblico agli abitanti della città.