A Melilli, Terrazza degli Iblei: il Carnevale “più stretto d’Italia” è valore di una comunità patrimoniale siciliana.
di Giorgio Franco
Se c’è una stagione nell’anno in cui è consentito dalle autorità clericali, civili e militari un ribaltamento sociale dei ruoli, quella è la stagione del Carnevale. Solo la fantasia e l’immaginazione potevano rendere possibile ciò che nella realtà era e sarebbe sempre stato impossibile e il carnevale si offriva quindi come l’unica occasione, prima del ritorno all’ordine e al rigore clericale quaresimale. L’azione del “mascherarsi” significava archiviare temporaneamente la propria immagine e immedesimarsi in un’altra sembianza, un po’ per gioco, un po’ per desiderio d’esser altro dalla “normalità”.
E’ questo uno dei momenti e dei motivi, sicuramente tra i più antichi, legati alle festività, agli usi, ai costumi e alle tradizioni carnevalesche; seppur molte usanze si sono affievolite nel tempo e nel panorama antropologico, quella del carnevale è una stagione che affonda le proprie radici nelle Dionisie greche, ripreso dai Saturnali romani, il cui tema del ribaltamento dei ruoli ottenne la sua popolarità durante il Medioevo, per poi arrivare sino a noi attraversando l’Unità d’Italia.
Una miscellanea di storie e di allegorie diverse fra loro, di regione in regione, eppure tutte d’una popolarità densa che entrano di diritto nel contemporaneo.
I Carnevali contemporanei che si richiamano a una pretesa tradizione locale, più o meno lunga nel tempo e più o meno fondata storicamente nelle comunità, si presentano come risultato di un processo di “ritradizionalizzazione”, il quale è basato su forme di riapprendimento delle tradizioni locali come necessario presupposto perché esse, pratiche sociali in un tempo non ancora lontano, riemergano nel presente come patrimoni culturali. L’esito di questo processo, che poggia da una parte sulla convinzione della continuità di atti e comportamenti, dall’altra sul potere autorevole e fondativo della scrittura o della documentazione, spesse volte fotografica o di recente generazione audiovisiva (stories), è l’assunzione di consapevolezza del configurarsi degli eventi carnevaleschi nella contemporaneità come segni di uno stile tradizionale che diventa marcatore di distinzione e di differenza.
Anche le maschere, all’interno del prevalente carattere semiotico, scenico e ludico dei Carnevali attuali, assumono il valore e il significato di simboli culturali, utili alla ridefinizione delle identità locali e territoriali. Queste maschere, personaggi, costumi del popolo o della commedia poggiano su una nozione di tradizione che si rivela utile a una società per spiegare e giustificare la propria condizione culturale nel presente, come una testimonianza di ciò che si ritiene essa sia stata in passato, come una eredità lasciata dalle generazioni precedenti e in grado di diventare patrimonio nella dimensione della contemporaneità anche in virtù delle garanzie assicurate dalle fonti storiche e, come già accennato, dalla autorevolezza delle fonti documentarie.
Gianni Rodari, Premio Hans Christian Andersen 1970, scriveva del Carnevale in filastrocca, “con la maschera sulla bocca, con la maschera sugli occhi, con le toppe sui ginocchi: sono le toppe d’Arlecchino, vestito di carta, poverino. Pulcinella è grosso e bianco, e Pierrot fa il saltimbanco. Pantalon dei Bisognosi “Colombina,” dice, “mi sposi?” Gianduja lecca un cioccolatino e non ne da niente a Meneghino, mentre Gioppino col suo randello mena botte a Stenterello. Per fortuna il dottor Balanzone gli fa una bella medicazione, poi lo consola: “È Carnevale, e ogni scherzo -per oggi- vale.”
Il carnevale che qui si narra non è solo quello che ci offre spunti letterari, ma anche quello dei processi di storicizzazione e di ripartenza post pandemica; caratteristiche non esclusive di un solo luogo, ma che si vogliono rivolgere a un’azione di mappatura di città che detengono un patrimonio comunitario, soprattutto per individuare connessioni con i contesti di vita locale e per il loro combinarsi e intrecciarsi in una narrazione che diviene, grazie alla patrimonializzazione attuata, coerente e compiuta in virtù di una regia che conferisce agli eventi carnevaleschi spettacolarità e teatralità. Molte delle maschere sopra citate dalla filastrocca di Rodari, per esempio, sono tra quelle che in short video quest’anno hanno salutato il Carnevale di Melilli, comune del siracusano, in Sicilia definito “Terrazza degli Iblei”; una challenge, quella lanciata dalla cooperativa Badia Lost & Found, che ha unito l’Italia e i suoi carnevali storici, ma che ha visto anche un’indagine sul campo, documentando ai fini di catalogazione e di valorizzazione, di ricerca e di trasmissibilità generazionale.
Tante le città italiane, come Avola, Acireale, Cento, Foiano, San Giovanni in Persiceto, Sciacca, Putignano, Tempio Pausania, Fano – ma anche – Venezia, Viareggio, Termini Imerese, San Mauro Cilento, Tricarico, Castelnuovo al Volturno, Ronciglione, Avellino e molte altre, le quali hanno documentato la propria vicinanza salutando Melilli, alcune con la propria maschera, come Burlamacco, Farinella, Arlecchino, Gianduja o Vulon, altre comunità con i propri gruppi in costume, tra l’eleganza di Venezia e il mito indigeno dell’entroterra Sardo con i Mammutzones, passando da Carnevali come quello di Tricarico, dove l’abito tipico ha rimandi ai riti della transumanza, ai cicli agricoli, che mescola in sé sacralità e antiche superstizioni.
Un processo culturale – quello avviato in sinergia tra la coop. Badia e il Comune di Melilli, che ha accolto le istanze e i racconti della comunità melillese, per moltiplicare e facilitare i processi di preparazione e di organizzazione del Carnevale, collegando il contesto di questo patrimonio di comunità con altre città e reti, puntando all’innovazione e alla salvaguardia.
“Megara dà a Ibla la nascita di Melilli” – recita il motto della città siciliana – ma potremmo continuare scrivendo, …e il consumo del Carnevale lascia spazio alla Quaresima e alla sua religiosa osservanza. Quello della “Terrazza degli Iblei” eppure non si contraddistingue come un carnevale fragoroso, dove il baccano supera tutto, ma riesce ad collocarsi tra i più originali per la capacità di essere il “Carnevale più Stretto d’Italia”, un merito, che oggi definiremmo anche “brand”, che vede carri allegorici in cartapesta passare da vere e proprie strettoie da circa due metri e cinquanta, per poi vederli aperti e animati a una larghezza talvolta sino a quindici metri.
Il dialogo e l’approccio con le comitive concorrenti rende questa tipicità ogni anno teatro di una capacità rara, assieme alle maschere, al sapere sartoriale di numerosi gruppi di donne e ai rituali specifici che vedono la mobilitazione dell’intera comunità a partire dal 27 Gennaio, ottavo giorno a una settimana dalla ricorrenza liturgica del Santo Patrono San Sebastiano Martire.
Le voci dei protagonisti, partecipanti, osservatori e studiosi di un rito collettivo si alternano, si integrano e si scontrano, intrecciando temi come estasi, animalità, spettacolo, identità, tradizione, traduzione e tradimento, uno studio che si proietta già verso nuovi traguardi da raggiungere nella 64° edizione del 2024.