di Ambra Di Bernardi, Deborah Borca, Giorgia Arillotta
Il partecipare e la partecipazione sono due elementi chiave per una rigenerazione in grado di coinvolgere attivamente le comunità e restituire scenari di immaginazione condivisa.
Uno dei temi fondamentali della partecipazione è la democratizzazione dei processi decisionali per risolvere conflitti, la cui risoluzione non deve basarsi sul soddisfacimento della maggioranza delle persone coinvolte, ma deve essere raggiunta mediante l’applicazione di metodi e strumenti per rendere quanto più democratici, plurali ed efficaci i processi decisionali.
Per il design dei processi è fondamentale l’applicazione di strumenti per il coinvolgimento capaci di mappare, ingaggiare, co-progettare e gestire i gruppi come: interviste, focus group, il planning for real e laboratori di idee e co-design. Pertanto, le fasi del processo partecipativo includono tali strumenti indispensabili per comprendere non solo le conflittualità esistenti ma anche gli attori da ingaggiare. Comprendere e acquisire i diversi punti di vista permette di acquisire un bagaglio conoscitivo ampio e completo. Nella gestione dei processi partecipativi, il ruolo del facilitatore è di garantire che tutte le posizioni siano rappresentate e che tutte le voci siano ascoltate, mantenendo una imparzialità capace di rendere oggettivo il dato raccolto durante i vari confronti.
Tra gli strumenti analizzati il focus group rappresenta uno degli strumenti più efficaci per mappare le potenzialità e le criticità dei diversi contesti e realizzare una collaborazione attiva così da ingaggiare e coinvolgere le persone. L’obiettivo principale di un focus group è quello di raccogliere idee, considerazioni e suggerimenti espressi da un gruppo di individui appartenenti al target appropriato, invitati a discutere in modo libero e spontaneo su una selezione di temi rilevanti ai fini dell’intervista. In tal senso, è importante creare un ambiente capace di mettere a proprio agio i partecipanti fin da subito.
Durante la seconda e la terza giornata di studio, è stato utile mettere in pratica le nozioni apprese e sperimentare in prima persona le varie fasi di funzionamento dell’Open Space Technology, uno strumento elaborato dall’americano Harrison Owen per facilitare i processi decisionali collaborativi tra le persone. Fin da subito è stato chiaro che la chiave per far funzionare bene tante persone insieme sta nell’estrema precisione di ogni dettaglio e di ogni fase del processo, che va dal curare i materiali di supporto e lo spazio in cui vengono accolti i partecipanti, alle istruzioni chiare e dettagliate da fornire, all’attenzione verso i tempi da rispettare e la preparazione in anticipo dei materiali. La sensazione è di aver preso parte a un complicato meccanismo in cui alla fine ogni ingranaggio si incastra alla perfezione con tutti gli altri. Paradossalmente, il fatto che una parte di noi seguisse le attività da casa non ha complicato il processo, grazie alla guida di un’abile direttrice d’orchestra. Mentre le persone in presenza allestivano la bacheca – con ordine del giorno, indice delle proposte e “regole del gioco” –, chi seguiva da remoto preparava il materiale che doveva comporre il report finale, da mandare a tutti non appena il processo si sarebbe concluso. Abbiamo lavorato sul caso dell’Ecomuseo Mare e Memoria Viva di Palermo e l’ultima fase, prima della presentazione delle proposte, è stata la più delicata: definire la domanda su cui strutturare l’intera operazione e in grado di ingaggiare tutte le persone coinvolte.
Altrettanto interessante è stato guardare l’intero processo con la doppia prospettiva di facilitatori e partecipanti: lanciare una proposta che sia in grado di suscitare l’interesse degli altri e allo stesso tempo osservare le dinamiche di gruppo. Attorno a ciascuna proposta si è raccolto in maniera spontanea un nucleo di persone interessate a quel tema, che hanno continuato a discutere nei singoli focus group – alcuni si sono mossi da un tavolo all’altro per “impollinare”, altri si sono immersi nella discussione dall’inizio alla fine, seguendo un processo naturale di selezione e aggregazione.
Mentre gli studenti in presenza co-progettavano le azioni di partecipazione, il gruppo online si è occupato di preparare i materiali utili alla trascrizione delle proposte provenienti dai tavoli di discussione, organizzandoli in una cartella drive per rendere agevole e immediata la fruizione. Contestualmente è stato preparato il layout per il report finale, ovvero un documento contenente il resoconto della parte laboratoriale del modulo nel quale sono state via via inserite le informazioni, le proposte emerse e le fotografie provenienti dai tavoli di discussione. Inviare il report al termine della seconda giornata e inserire fotografie che restituissero il clima e le espressioni dei partecipanti è stata un’ulteriore azione di cura con il fine di farli sentire protagonisti e parte integrante dell’intero processo.
Cos’è dunque un processo partecipativo? Come coinvolgere le persone? Quali i presupposti?
La partecipazione è un percorso che vuole facilitare l’individuazione di diverse soluzioni per problemi complessi, con l’obiettivo di confrontare diversi punti di vista e coinvolgere i vari portatori di interesse, non solo gli attori principali. Il presupposto fondamentale è il rispetto e ascolto reciproco, insieme alla volontà di arricchire il quadro delle possibilità. Per garantire la qualità della partecipazione e di tutte e tutti coloro che partecipano, è stata realizzata una linea guida di riferimento: La Carta della partecipazione che nasce con lo scopo di accrescere la cultura della partecipazione dei cittadini alle decisioni e si basa su vari principi come l’equità, fiducia, l’armonia e valutazione.